Se la carica di senatore a vita servisse davvero a permettere a un italiano di contribuire alle sorti del proprio Paese, ebbene, andrebbe sicuramente assegnata a Luigi Luca Cavalli-Sforza. Poiché, probabilmente, la sua sola presenza tra i banchi di Palazzo Madama renderebbe un po' meno buia l'aula. Lo scienziato genovese non ha soltanto (come recita l'art. 59, comma 2 della Costituzione) “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”; ha reso l'intero genere umano più consapevole delle proprie origini e della propria natura.
Luigi Luca Cavalli-Sforza |
Tuttavia, la passione del genetista è andata ben oltre i confini della sua disciplina di riferimento, facendolo spaziare dall'antropologia alla storia, passando attraverso l'archeologia e la linguistica. Notevoli, inoltre, i suoi contributi alla divulgazione scientifica (che fra l'altro gli sono valsi, nel 2007, il Primo Premio Letterario Galileo per la divulgazione scientifica): il che dimostra come si tratti di un vero connaisseur, privo dello snobismo che purtroppo caratterizza molti suoi colleghi.
Fondamentali, in primo luogo, le pubblicazioni, accessibili al grande pubblico, riguardanti il suo lavoro e ciò che ha portato alla luce sulla storia del genere Homo: sempre presenti nella libreria di qualsiasi studente o semplice curioso, dovrebbero essere, ad esempio, Chi siamo. La storia della diversità umana e L'evoluzione della cultura. Proposte concrete per studi futuri. Ma si potrebbero citare decine di titoli, uno più interessante dell'altro, che coprono uno spettro di questioni e temi tanto ampio da trascorrerci sopra un'intera vita (per una bibliografia dettagliata, si guardi qui).
Ciò che lo ha reso un vero avanguardista nel campo egli studi evoluzionistici è il cosiddetto “modello Cavalli-Sforza”: una cornice teorica per lo studio dell’evoluzione della cultura, che prevede l'applicazione di modelli quantitativi analoghi a quelli da lui impiegati nella genetica di popolazioni. Non c'è bisogno di sottolineare come il suo pensiero rappresenti un caposaldo, per l'esistenza stessa di questo sito, nonché un punto di riferimento per lo sviluppo di questo campo di ricerca.
Ciò che lo ha reso un vero avanguardista nel campo egli studi evoluzionistici è il cosiddetto “modello Cavalli-Sforza”: una cornice teorica per lo studio dell’evoluzione della cultura, che prevede l'applicazione di modelli quantitativi analoghi a quelli da lui impiegati nella genetica di popolazioni. Non c'è bisogno di sottolineare come il suo pensiero rappresenti un caposaldo, per l'esistenza stessa di questo sito, nonché un punto di riferimento per lo sviluppo di questo campo di ricerca.
Pescare a piene mani nei suoi testi costituirebbe, inoltre, un utile esercizio di umiltà per tutti coloro ancora convinti dell'esistenza delle razze, le quali potrebbero essere collocate su una scala gerarchica che, nella maggior parte dei casi, ha al suo vertice il maschio bianco caucasico (oppure un WASP - White Anglo-Saxon Protestant - nel caso in cui a tracciarla sia un americano). Grazie ai dati frutto delle sue ricerche trentennali, Cavalli-Sforza ha infatti appurato che la maggioranza delle differenze somatiche tra i diversi gruppi umani sono dovute alle caratteristiche climatiche delle diverse zone geografiche; e che quelle dettate dai cromosomi sono diffuse in maniera continua sulla superficie terrestre, senza possibilità di essere classificate in maniera discreta.
Mappa della prima componente genica principale dell'Europa secondo Cavalli-Sforza |
Un altro suo grande contributo, molto recente, è costituito dalla mostra “Homo sapiens. La grande storia della diversità umana”, di cui è curatore insieme a Telmo Pievani, e che si terrà fino al 12 febbraio 2012 presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (per poi, auspicabilmente, fare tappa in altre città italiane). Una vera miniera di informazioni e reperti, di cui approfittare non soltanto per vedere da vicino alcuni dei fossili più importanti della storia dell'uomo (un esempio che vale per tutti è Lucy, il celeberrimo Australopithecus afarensis ritrovato ad Afar, in Etiopia, nel 1973), ma anche per rendersi conto di come - per dirla con le parole di Pievani, “la solitudine [NdR: della nostra specie all'interno del cespuglio evolutivo degli ominidi] è un'invenzione recente”.
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