1 mar 2014

Breve guida al futuro dei Big Data

Big Data, questi sconosciuti.
Chiunque avrà probabilmente sentito pronunciare, almeno una volta, questo termine. Ma quanto ne sappiamo effettivamente?

Tecnicamente, Big Data indica qualsiasi raccolta di dati talmente grande e complessa da dover essere gestita con strumenti diversi da quelli tradizionali. Tuttavia, negli ultimi tempi l’attualità ha modificato la percezione pubblica di questa parola, affibbiandole spesso una connotazione negativa. 
Il motivo? Il collegamento tra la raccolta di informazioni e lo spionaggio. In realtà sono tanti i possibili utilizzi dei grandi archivi di dati, anche in ambito sociale. Potenzialità che potranno crescere grazie alla diffusione degli Open Data, che garantiscono l'accessibilità delle informazioni in possesso della pubblica amministrazione. Un tema che sconfina in quello dell’Open Government, cioè la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni politiche attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.


Per saperne di più, ne parliamo con Davide Bennato, docente di Sociologia dei media digitali, autore dell'omonimo libro edito da Laterza.


1. Professor Bennato, ci può spiegare in breve quali sono i principali usi dei Big Data, anche per la ricerca sociologica?

- Per noi sociologi i Big Data stanno rappresentando una rivoluzione straordinaria, perché stanno imprimendo quella svolta verso l'utilizzo sistematico dei dati che nelle scienze sociali, e soprattutto in sociologia, era stato finora piuttosto contenuto. Infatti, passare da un mondo in cui bisogna fare i conti con problemi come il campionamento, a uno in cui è possibile scaricare enormi quantità di dati e poi elaborare delle analisi ad hoc per noi è una svolta non da poco. Questo nuovo impiego degli strumenti quantitativi nell'ambito delle scienze sociali permette di avere un duplice approccio: da un lato usare i Big Data per vedere cosa succede nelle piattaforme dei Social Media, dall'altro ipotizzare come queste piattaforme possono diventare uno specchio di ciò che accade fuori da Internet.

2. Lei studia le relazioni sociali e i processi comunicativi che caratterizzano il cosiddetto "web partecipativo": il fatto di avere un blog personale e di frequentare i social network la facilita nell'analisi di questi fenomeni?

- Mi sono avvicinato a uno sistematico dei dati nell'ambito delle ricerche sociologiche anche per il fatto che sono autore di un blog, che si chiama Tecnoetica, che si occupa dell'impatto etico - a livello di valori - delle tecnologie digitali.
La mia esperienza di blogger, o meglio di persona-che-scrive-sui-blog per confrontarsi con gli altri, mi ha portato diversi vantaggi:
1) la possibilità di "riflettere ad alta voce" di alcune mie idee, ricerche o studi che faccio nei confronti dei Social Media, e da questo punto di vista il blog è molto interessante perché i lettori commentano e fanno le loro osservazioni;
2) la possibilità di avvicinarmi a strategie come le direttrici, di tipo non solo tecnologico ma anche di marketing, connesse ai contenuti che vengono veicolati sul web, e di conseguenza a settori come la Search Engine Optimization;
3) la possibilità di sviluppare un minimo di competenza tecnica relativa ai contenuti pubblicati on-line, e di utilizzarla per comprendere le informazioni tecnologiche che stanno dietro i Big Data.

3. A proposito di Big Data: quali sono secondo lei le applicazioni più promettenti per i prossimi anni? 

- La stragrande maggioranza delle applicazioni dei Big Data sono tutte in fieri, cioè secondo me svilupperanno la loro potenza, soprattutto nella capacità di analisi, da qui a qualche anno. Si vedono già delle avvisaglie di cambiamento che possono essere prese in considerazione.
C'è l'applicazione dei Big Data nell'ambito della medicina, con la possibilità di utilizzare sistematicamente enormi quantità di dati che vengono prodotti nell'ambito biomedico e ospedaliero, che permettono di approcciarsi in maniera diversa alle malattie dei pazienti. Questa tendenza si sta diffondendo anche a livello interpersonale attraverso l'approccio che viene chiamato "quantified self", cioè la raccolta di dati biometrici con appositi sensori - mentre si fa fitness per esempio - e usare queste informazioni per misurare le proprie performance anche in maniera aggregata. Un altro ambito che sta registrando un cambiamento, soprattutto nelle grandi metropoli, è quello delle smart cities: l'utilizzo dei Big Data per rendere una città sostenibile da vari punti di vista - energetico, sociale, delle risorse a propria disposizione.
Poi c'è tutta una serie di applicazioni dei Big Data che al momento è nascosta: business intelligence e social media analytics consentono, ad esempio, di impiegare le informazioni che circolano sui Social Media per migliorare le proprie offerte commerciali ed attrarre più clienti.

4. Nel suo discorso del 17 gennaio scorso, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha parlato della famigerata vicenda del NSA, l'agenzia di sicurezza nazionale, e di ciò che in particolare farà il suo governo per limitare l'invasione della privacy sia dei cittadini americani che degli alleati degli USA. 
A suo parere, i Big Data rappresentano più un'opportunità o un rischio?

- Come spesso capita, le nuove tecnologie nel momento in cui si presentano nello spazio pubblico, lo fanno - utilizzando una parola greca - come un farmakon, che vuol dire contemporaneamente sia "cura" che "veleno". La questione sta tutta nel modo in cui applicare questo tipo di tecnologia nella vita quotidiana, quindi è un problema legato ai valori. Io non posso che essere ottimista nei confronti della loro applicazione, in quanto secondo me comporterà un cambiamento a livello sociale e culturale non da poco. Penso, però, che questo sviluppo tecnologico deve andare di pari passo con una consapevolezza etica e valoriale, per evitare che ci siano delle conseguenze - come il caso nel NSA dimostra - che possano inficiare non soltanto la privacy del cittadino ma anche la sua identità.


5. In un suo recente articolo su Lettera internazionale, lei sostiene che stiamo vivendo un nuovo Umanesimo, questa volta di tipo digitale. Può illustrarci meglio questo concetto? 

- Questo concetto potrebbe sembrare astratto se non rivelassi a chi devo l'ispirazione: si tratta di un famoso studioso d'estetica, Erwin Panofsky, che in un saggio faceva notare che la scoperta in ambito artistico della prospettiva, cioè la rappresentazione della terza dimensione in uno spazio bidimensionale, non è soltanto un discorso matematico, ma è anche legata alla filosofia dominante del Rinascimento, cioè la convinzione che l'uomo sia al centro di tutte le cose. Da questo punto di vista, secondo me i big Data portano un contributo molto simile: i dati non parlano sa soli, ma hanno bisogno di qualcuno che li interroghi nel modo giusto. Questo tipo di competenza non è più soltanto una competenza tecnica, ma anche una competenza umanistica, perché comporta l saper porre domande nuove a questa enorme quantità di dati e alle tecnologie che permettono di usarli.
Quindi, si potrebbe creare una nuova forma di Umanesimo digitale: così come la prospettiva aveva creato un ponte tra la matematica, la fisica e l'estetica, i Big Data - con la loro capacità di rappresentare il mondo in maniera completamente nuova - permettono di riflettere in maniera nuova sulla nostra identità e sulla nostra organizzazione sociale.

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