9 apr 2014

Live fast, die old

La nomina del premier più giovane della storia della Repubblica italiana ha riacceso, recentemente, l'eterno confronto tra generazioni che - soprattutto da quando la crisi finanziaria si fa sentire più pesantemente - ha un significato non soltanto culturale, ma anche economico.

Tuttavia, il dibattito spesso non va oltre la superficie, limitandosi a banali considerazioni sul livello di tutela garantito dai sindacati agli anziani, naturalmente a spese dei giovani. Come se per garantire più diritti agli uni fosse necessario sottrarne agli altri.


Il rischio peggiore di questo modo di ragionare non è tanto politico - chi governa ha spesso l'interesse a creare contrapposizioni, come recita l'antico adagio del terzo che gode - quanto soprattutto sociale: mettere nipoti contro nonni è una mossa pericolosissima, poiché rischia di erodere quella poca coesione che è rimasta nella società post-post-moderna (cronologicamente parlando).

È vero: la percentuale di individui maturi crescerà molto nei prossimi anni, costringendo a ripensare le politiche di welfare dei singoli Paesi e dell'intero mondo occidentale (forse i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo possono permettersi, per ragioni demografiche, ancora qualche anno di status quo). Del resto, è quanto abbiamo voluto con l'aumento della qualità della vita: cibo, lavori e medicine migliori hanno accresciuto l'aspettativa di vita, per cui oggi è impensabile andare in pensione alla stessa età di un tempo.

Per cui, strategie basate unicamente sul ricambio generazionale possono rivelarsi, più che inutili, dannose. Dare spazio ai cervelli d'Italia non può risolversi nel collocare i giovani migliori nei posti sicuri della Pubblica Amministrazione: anzi, è solo aiutando l'economia privata che si valorizzano le eccellenze.

Per capire quanto sia utile la presenza dei vecchi vengono in soccorso anche archeologia e paleontologia. Alcune ricerche condotte dalle antropologhe Rachael Caspari e Sang-Hee Lee dell'Università del Michigan hanno dimostrato che la tendenza a vivere oltre i 30 anni si è sviluppata soltanto nel Paleolitico superiore, ossia in corrispondenza del passaggio agli esseri umani "moderni". La loro teoria è molto importante, in quanto sostiene che questa aumentata sopravvivenza degli adulti ha avuto delle conseguenza enormi sulla nostra specie.

Fonte: axa-mps.it


- I nonni forniscono risorse economiche e sociali ai loro discendenti, aumentando sia il numero dei bambini che i loro figli riescono ad avere sia la loro sopravvivenza.

- Gli anziani trasmettono anche altri tipi di informazioni, da quelle sull'ambiente a quelle tecnologiche.

- Le famiglie multigenerazionali hanno più membri che si occupano di inculcare nei giovani le nozioni più importanti, incoraggiando la formazione dei rapporti di parentela e delle altre reti sociali.

In questa prospettiva, i fattori che caratterizzano il Paleolitico superiore, e quindi la nascita di Homo sapiens com'è oggi, possono essere stati la conseguenza dell'accrescimento delle popolazioni. La longevità è stata un prerequisito per il comportamento unico e complesso che contraddistingue la modernità.

Dobbiamo molto ai nostri vecchi: non permettiamo che una riforma del lavoro qualunque li spazzi via.

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