Per oltre cinquant'anni giornalisti, politici, responsabili di musei e altre figure professionali hanno cercato di lavorare sul rapporto tra la ricerca scientifica e la sua audience, cercando di migliorare la “comprensione pubblica della scienza”. Una locuzione quanto mai inafferrabile: non c'è infatti un consenso diffuso né sugli obiettivi della comunicazione scientifica, né sulle caratteristiche di questa famigerata comprensione. Per tal motivo, molti esperti hanno indagato i diversi aspetti del tema, andando in cerca di una definizione utile anche dal punto di vista operativo.
Un primo paradigma di divulgazione scientifica, storicamente parlando, è quello sviluppatosi con il nome di «deficit model»: espressione che mette in evidenza come il pubblico venga considerato culturalmente inferiore all'élite degli addetti al settore, che si deve pertanto assumere il compito di riempire il vuoto lasciato dall'apprendimento tradizionale.
Si è quindi passati a schemi più complessi, che tenessero in considerazione sia il contesto in cui la comunicazione avviene, sia il patrimonio di conoscenze in possesso delle popolazioni locali oggetto
(si badi – non semplici destinatarie) del processo.
Ma come si traduce, nel nostro Paese, questo coinvolgimento diretto del grande pubblico? Gli ultimi
casi italiani non depongono bene: quello della
fecondazione eterologa è, nella sua attualità, paradigmatico. La famigerata legge 40 ("Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita"), approvata il 19 febbraio 2004 da un Parlamento a
maggioranza conservatrice, è stata praticamente smantellata, punto per punto, dalle sentenze della
Corte Costituzionale, un organismo che non rispecchia la volontà popolare.