10 mar 2014

Una pillola amara

È quella che hanno dovuto inghiottire Roche e Novartis, con la sentenza dell’Antitrust che ha imposto ai due colossi dell’industria farmaceutica una multa da oltre180 milioni di euro. La motivazione è presto detta: «un cartello che ha condizionato le vendite dei principali prodotti destinati alla cura della vista». 

A farne le spese l’economico Avastin, un farmaco usato per il trattamento della degenerazione maculare senile e di altre gravi malattie oculistiche, a favore del ben più costoso Lucentis. Ma soprattutto, i contribuenti italiani: l’accordo - tutto meno che tacito, stando alle telefonate tra i due amministratori delegati – ha infatti comportato dei costi aggiuntivi enormi per le casse dello Stato italiano: per l’esattezza, oltre 45 milioni di euro nel 2012, con un possibile impatto futuro di ulteriori 600 milioni all’anno. 


Un tema molto delicato, quello del rapporto tra Big Pharma – le più grandi case farmaceutiche mondiali – e il Sistema Sanitario Nazionale. Con la prima che detiene un potere di lobbying, non solo negli U.S.A., come qualcuno potrebbe pensare, capace di influenzare le scelte di farmacisti, medici e persino ministri (si pensi alla preoccupazione con cui, nel film “Il divo”, Giulio Andreotti si interessa al mantenimento del Tedax nel prontuario dei farmaci). 

Se, da un lato, è vero che chi produce un bene non comune ha tutto il diritto di guadagnare dalla sua vendita, dall’altro non si possono consentire comportamenti poco trasparenti in un settore così importante: con la salute dei cittadini, e con le loro tasche, non si può giocare. Tuttavia, un intervento una tantum non basta: ammesso che si riesca a far loro risarcire il danno, per aziende del fatturato di Roche e Novartis quella stabilita dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è una cifra irrisoria. È necessario cambiare il sistema alla base, rendendo più trasparente le relazioni tra i diversi stakeholder. 

Un ruolo fondamentale è giocato dalla comunicazione e dall’informazione, non solo giornalistica. Lo Stato deve essere il primo a farsi garante della tutela dei pazienti. A partire dal diritto alla prescrizione del cosiddetto “farmaco equivalente”, per finire al diritto – in questo caso dell’intera società – a vedere finanziata adeguatamente la ricerca pubblica. 
Le due aziende hanno già annunciato che ricorreranno in appello contro la decisione italiana, in quanto Avastin e Lucentis sarebbero due prodotti sviluppati per scopi terapeutici diversi: il primo oncologico, il secondo oftalmico. Probabilmente, l’ultima parola spetterà al Tribunale Amministrativo Regionale, a cui sarà indirizzato il ricorso. 



Intanto, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha disposto una verifica dei possibili effetti collaterali di Avastin. 

Ma il problema sta a monte: finché giganti come quelli svizzeri avranno una situazione economica poco chiara – Novartis detiene una rilevante partecipazione in Roche, superiore al 30% - e quindi interessi che vanno oltre quelli farmaceutici, la pillola amara dovranno inghiottirla i malati.

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